Johnny English colpisce ancora: dal 18 Ottobre


Alla vigilia di un importante summit internazionale, un attacco informatico rivela l’identità di tutti gli agenti segreti britannici sotto copertura. L’unico rimasto sul campo è in pensione, non ha idea di cosa sia un’App, e si chiama “English, Johnny English”. Riunito in team col suo fedele scudiero Bough, l’agente English, entusiasta di tornare al lavoro, dovrà vedersela con un’affascinante spia russa, con droghe sintetiche mai sperimentate e con un giovane e rampante nemico, re del digitale.

Con calma, quindici anni dopo il primo e sette anni dopo il secondo, arriva il terzo capitolo dedicato al personaggio di una delle spie più idiote della storia dello schermo.

Nel frattempo il mondo è cambiato, ogni cosa è regolata dall’internet, mentre lui è rimasto ai tempi degli esplosivi nelle penne a sfera, e, a dirla tutta, non sa maneggiare nel modo giusto nemmeno quelli. Personaggio e film colgono dunque la palla al balzo per tematizzare il gap generazional-tecnologico e il risultato è una buona dose di risate analogiche, non per questo meno sonore.

Un film old school, insomma, dove l’impiego di Rowan Atkinson nei panni di un maestro di scuola fornisce anche un’indicazione di target: oggi è solo ad un pubblico molto giovane che Johnny English colpisce ancora può dire qualcosa di nuovo, mentre per tutti gli altri lo spettacolo è nel ritorno di una comicità dell’impaccio fisico e verbale, che porta con sé l’inevitabile eco di Mr Bean (sebbene nasca, a rigore, da un personaggio più vecchio, creato da Atkinson per la pubblicità di una carta di credito).

Al tema del mondo trasformato dal digitale, che ha il suo momento di apoteosi nella sequenza da antologia dell’agente English alle prese con una passeggiata dimostrativa nella realtà virtuale, si aggiunge una seconda traccia, che scorre sotterranea al film e, più in generale, alla concezione del personaggio, col suo esplicito debito nei confronti della filmografia di James Bond.

È la traccia della britishness, vero e proprio magnete attorno al quale si riuniscono tutti gli elementi in gioco. La Gran Bretagna deve fare bella figura al G-12 e il primo ministro Emma Thompson ha bisogno, allo scopo, del suo cavaliere senza macchia e senza paura (“a knight in shiny armour” è la locuzione inglese, qui presa letteralmente e scomodamente alla lettera), peccato che l’eroe in questione stravolga completamente i concetti di understatement e dignità, in favore di un più ecumenico, facile ma sempre salutare, umorismo.